Roberto Rossellini, un regista rinascimentale
Cinémathèque 10 ottobre – 12 novembre 2021
Troppo a lungo invisibile a causa di stampe in condizioni troppo cattive per poter organizzare una retrospettiva, abbiamo finito per sentire seriamente la mancanza di Roberto Rossellini. È un piacere rivederlo perché è un marcatore indelebile nella storia del cinema e una fonte di ispirazione : la fonte di una certa idea di cinema. Il che ci ricorda che attraverso un film si può esprimere una vera consapevolezza del mondo e del modo di rappresentarlo.
In questo senso, Roberto Rossellini è il Masaccio del cinema, il pittore rinascimentale che applicò le leggi della prospettiva alla pittura (vedi La Santissima Trinità, la Vergine, San Giovanni e i Donatori, 1425-1428) e la rivoluzionò. E. H. Gombrich ha scritto a proposito di Masaccio e di questa trinità: « Non si trattava solo dei dispositivi tecnici della pittura prospettica […], era come se il pittore avesse bucato il muro, rivelando una nuova cappella costruita in stile moderno […]. Ma i contemporanei furono probabilmente ancora più colpiti dalla semplicità e dalla grandezza delle figure per le quali questa architettura serviva da cornice. Forme solide e squadrate sostituirono le curve morbide e facili; niente più dettagli piacevoli, fiori o oggetti preziosi, solo un’architettura maestosa e austera. E se Masaccio rinunciava alle seduzioni a cui il pubblico era allora abituato, guadagnava in sincerità ed emozione […] ». Sembra quasi di poter toccare i personaggi e questa sensazione li rende più vicini e comprensibili. Per i grandi maestri del Rinascimento, le nuove scoperte e le conquiste tecniche non erano mai fini a se stesse.
Hanno sempre saputo come usarli per rendere i loro concetti più chiari allo spettatore. Se si dovesse sostituire Masaccio con Rossellini, non si potrebbe definire meglio il modo in cui ha trasformato definitivamente il cinema. « Masaccio è stato ispirato dalle sue osservazioni della vita reale, osserva l’uomo come il centro dello sviluppo umano e in tutto ciò combina la sua conoscenza delle leggi della geometria con una performance artistica. Masaccio ha dato all’uomo la sua esatta dimensione e ha fatto bene a dare a Cristo un corpo così umano. L’artista deve partire dalla propria realtà, una realtà umana. Ciò che è importante per me in questo quadro è che l’arte e la conoscenza sono intrecciate », ha detto Rossellini in un dialogo di fronte a questa trinità rivoluzionaria nella sua serie televisiva in tre parti – L’Era Medici – che ha visitato il Rinascimento fiorentino. Insomma, dopo l’oscurantismo degli anni 30 e la seconda guerra mondiale, Rossellini ha portato il cinema in una nuova era, quella del suo Rinascimento, Roma città aperta è per la storia del cinema quello che la Santa Trinità di Masaccio è stata per la storia dell’arte.
Rinascimento ancora nel modo in cui è risorto dalle ceneri, rompendo con un approccio prima che diventasse un’estetica, una convenzione, un sistema, pur esplorando sempre lo stesso percorso: il superamento di un realismo codificato per raggiungere una forma di verità, la definizione del proprio stile – che sarà meno una scrittura che un atteggiamento, una posizione morale.
La sua opera può essere divisa in quattro periodi. Il primo è composto da tre film di guerra (La nave bianca – 1941, Un pilota ritorna – 1942, L’uomo con la croce – 1943), girati sotto il regime fascista (il che gli valse sguardi sospettosi), che si distinguono per il loro aspetto documentario. Il secondo è quello del neorealismo, le cui fondamenta ha scavato con la sua trilogia delle rovine (Roma città aperta – 1945, Païsa – 1946 e Germania anno zero – 1948): il trittico che ridefinì i contorni del realismo contro le convenzioni che il cinema aveva precedentemente stabilito con il suo pubblico. Il terzo fu il cosiddetto Bergman-film, nato dall’incontro e dalla relazione con Ingrid Bergman (Stromboli – 1950, Europa 51 – 1952, Viaggio in Italia – 1954, Paura – 1954 e Giovanna d’Arco – 1954). Questo è stato un periodo in cui è andato oltre il quadro del neorealismo per portare il cinema nella sua modernità.
Gli è stato rimproverato questo periodo, come un tradimento, così come Roma città aperta gli è stato rimproverato di essere un film pasticciato, fatto a dispetto di ogni buon senso cinematografico. Eppure il neorealismo rivoluzionario stava cadendo nella convenzionalità e i film di Bergman lo portavano al livello successivo di un’evoluzione logica del cinema nella sua ricerca della verità. Non solo Rossellini ha perseguito il suo bisogno di capire l’umanità – osservare i fatti e i gesti come si conduce un’indagine per capire le azioni degli uomini e delle donne di fronte alla storia – ma ha sostituito l’attore, l’attrice in questo caso (Ingrid Bergman), al personaggio, cercando la verità dell’attrice dietro il personaggio. Con i film di Bergman, abbiamo l’impressione di raggiungere un secondo livello di realismo – di coscienza – dove, lungi dal voltare le spalle ai personaggi, come gli è stato rimproverato di fare, i personaggi ci permettono di vedere oltre gli attori, facendoci dimenticare che abbiamo a che fare con attori che recitano un ruolo, e permettendoci di vedere le persone (Ingrid Bergman in particolare, con il suo status di star di Hollywood) dietro gli attori, di guardarli attraverso gli attori, non più per identificazione ma come se guardassimo attraverso uno specchio a senso unico. Dal cinema moderno al cinema postmoderno, il legame è già presente. E poi il cinema è morto, ha detto Rossellini, rivolgendosi per il suo quarto periodo alla televisione, per la quale ha sviluppato un progetto di enciclopedia popolare che guarda in modo didattico agli eventi storici (La presa del potere di Luigi XIV) e alle correnti di pensiero che compongono l’umanità (Socrate, Pascal, Cartesio, Gli atti degli apostoli, L’età del ferro… da vedere sulla postazione di consultazione INA-CNC alla biblioteca della Cinémathèque).
Partendo da una tale divisione in periodi, ci si potrebbe limitare a una visione in rotture, in blocchi distinti. Eppure è, allo stesso tempo come un dipinto del suo tempo, il viaggio intellettuale di una mente illuminata che si dispiega davanti ai nostri occhi. Da una panoramica dei tetti di Roma in apertura ( Roma, città aperta) a una panoramica dei tetti di Parigi in chiusura ( Il Centro Georges Pompidou , il suo ultimo film ). E vedremo – grazie al montaggio di Jacques Grandclaude delle riprese di quest’ultimo film (Rossellini al lavoro) – che, se il cinema non è fine a se stesso per Rossellini, è l’allestimento di un dispositivo attraverso il quale si può cogliere una verità; mettersi in condizione di riceverla e condividerla. O, per usare le sue parole, considerarsi ignorante per far conoscere le cose nel momento stesso in cui le ha scoperte lui stesso. Un atteggiamento che richiede di rinascere sempre dalle proprie certezze. Una posizione morale che rende il cinema sempre grato a lui.
Franck Lubet, responsabile della programmazione