Le Tarantelle Punk-Rock di Maria Mazzotta

La cantante italiana dalla voce potente presenta sui palchi francesi Onde, il suo secondo album solista.

Della sua adolescenza punk-rock trascorsa in Puglia, il tacco dello Stivale italiano, Maria Mazzotta ha sicuramente conservato qualche traccia, l’energia e la rabbia portate dalla sua voce roca e spezzata, i riflessi blu e viola nei suoi capelli neri come la pece mediterranea. Ciò sembrò meno ovvio per la sua carriera musicale, dedicata, per due decenni, a perpetuare e rinnovare la tradizione della pizzica, una variante regionale della tarantella. Dunque, associato al tarantismo, un rito terapeutico e catartico volto a curare i morsi di un ragno – presumibilmente la tarantola – attraverso la danza e un ritmo frenetico (in tempo 6/8). Questa pratica, come la creatura stessa, ha la stessa etimologia della città pugliese di Taranto, dove il fenomeno fu osservato per la prima volta. Prima di trasformarsi in un bastione d’acciaio e di diventare la città più inquinata d’Europa, con un bilancio sanitario catastrofico.

Originaria di Lecce, nella penisola salentina, Maria Mazzotta è stata legata, dal 2000 al 2015, al Canzoniere Grecanico Salentino, collettivo che ha riportato alla ribalta questa pizzica caduta in disuso quando si è formata nel 1975. Da allora, ha vissuto una spettacolare rinascita, simboleggiata dalla creazione, nel 1998, del festival La Notte della Taranta, nel borgo di Melpignano, alla cui orchestra Maria Mazzotta si sarebbe unita otto anni dopo. « Oggi esiste un turismo legato alla pizzica », nota parlando in francese. Quando ho iniziato, sopravviveva solo in piccoli villaggi, abitati da persone anziane. Era ancora una cultura contadina. »

Per Onde, il suo secondo album da solista uscito a febbraio e che presenta attualmente sui palchi francesi, la cantante 43enne ha ricordato la ragazzina che era prima di essere morsa dalla tarantella, a 16 anni, durante un concerto del gruppo Aramirè. Aveva studiato pianoforte e arpa al Conservatorio di Lecce ed era una fan dei punk rock rumorosi e di sinistra. Come quelle dei gruppi CCCP – trasformatisi, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, in CSI (Consorzio suonatori indipendenti) –, dei Marlene Kuntz, discepoli piemontesi dei newyorkesi Sonic Youth, o degli Üstmamo, che avevano gettato un ponte tra la musica popolare dell’Appennino e la canzone antifascista e anarchica. «Non avrei mai pensato di poter collegare questi due periodi della mia vita», spiega Maria Mazzotta a Montauban, davanti al palco dell’Espace des Augustins, dove ha trascorso di recente due giorni in residenza prima di riprendere la strada. Primo, perché non avevo mai cantato rock. Ho iniziato a cantare scoprendo la musica tradizionale, che mi ha dato una libertà di improvvisazione o di coinvolgimento del pubblico che non ho trovato nella musica classica. Tuttavia, guardando gli archivi, mi sono reso conto che le voci ascoltate nel Salento avevano qualcosa di rotto, molto simile per me alla distorsione della chitarra elettrica. »

Per il suo primo album a suo nome, Amoreamaro (2020), Maria Mazzotta ha optato per il minimalismo, affidando il suo timbro potente alla fisarmonica del malgascio Bruno Galeone. Per rendere la sua musica più elettrizzante, ripete l’esperienza in trio, più di tradizione hendrixiana che salentina, con due napoletani: il chitarrista Ernesto Nobili e Cristiano Della Monica, più percussionista che batterista. Il primo porta con sé i colori blues e psichedelici, tuareg e balcanici di colui che ha registrato anche due album con il violoncellista albanese Redi Hasa. In altre parole: un suono potente. « Come sempre accade con la musica tradizionale, ai puristi non piace molto quella che considerano contaminazione », ha già fatto notare. Tuttavia non si tratta di una questione di « fusione », di un’alchimia pericolosa e persino dubbia, spesso all’opera nella cosiddetta musica « world ». Piuttosto, un altro modo di suonare la pizzica. Il cantante ha conservato l’emblematico tamburello, un grande tamburello. Tanto eloquente quanto originale, Onde è cantata interamente in salentino, ad eccezione dell’italiano per Canto e sogno, con il trombettista tedesco Volker Goetze, e contiene quattro canti tradizionali.

Si comincia con La Furtuna (“fortuna”), che apre il tour delle canzoni, mentre Maria Mazzotta copre il suo maglione nero e il suo vestito con una coperta di sopravvivenza. È davvero facile trovare un’eco tragica e contemporanea a questa storia di « barche rifiutate di entrare nei porti », mentre infuria una tempesta che trasformerà il mare in un cimitero. Il tema marittimo è presente altrove – Navigar non posso… senza di te –, così come il tarantismo con la sublime ballata Damme la Manu (“dammi la mano”). Le “onde”, sono “quelle che possono scuotere, come quelle che hanno distrutto tutto dopo lo tsunami; il movimento continuo della vita”, precisa, notando che “in francese, a differenza da noi, non è la stessa parola che designa le onde elettromagnetiche”.

Declinata in ninne nanne come in tornado, questa vibrazione riflette l’evoluzione della sua identità sonora, senza rinunciare alle sue convinzioni profondamente radicate: « Per me, la musica tradizionale è funzionale e non è legata all’estetica. È una persona socievole e protestante. Nel Salento esiste un intero repertorio per chi ha lavorato la terra sotto il sole a 40 gradi. Soffrendo di iperventilazione, cantavano a squarciagola per dimenticare la stanchezza. » Sentiamo le loro voci quando Maria Mazzotta affronta Terra ca nun senti (“terra che non sente”), di Rosa Balistreri (1927-1990), musa siciliana e comunista. E ricordiamo che è a Edith Piaf che lei rende omaggio con il suo Hymn to Love.